In generale, con il termine bullismo ci si riferisce a tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino/adolescente, definito “bullo” (o da parte di un gruppo), nei confronti di un altro bambino/adolescente percepito come più debole, la vittima.

Dai dati di un nuovo studio pubblicato su The Lancet Psychiatry da Lereya e colleghi nel 2015 (Lereya et al., 2015)emerge che le vittime di bullismo rischiano, da adulti, di soffrire di disturbi mentali in misura maggiore rispetto ai bambini maltrattati dai propri genitori durante l’infanzia. I ricercatori hanno esaminato i dati provenienti da più di 4.000 partecipanti ad uno studio del Regno Unito ALSPAC (Studio Longitudinale su genitori e figli di Avon) e di 1.273 partecipanti provenienti dallo studio Great Smoky Mountain, degli Stati Uniti. Gli studi forniscono dati riguardanti la correlazione tra il bullismo da parte dei coetanei e i maltrattamenti da parte dei genitori nei primi anni di vita dei bambini (tra 8 settimane e 16 anni), e dati sulla loro salute mentale tra i 18 ei 25 anni.

I risultati della ricerca evidenziano che i bambini vittime di bullismo, che non hanno però subito maltrattamenti dagli adulti, sono più predisposti a soffrire, da grandi, di alcune patologie psichiche.

Dieter Wolke, professore presso il dipartimento di psicologia dell’Università di Warwick e autore dello studio, spiega:

Ci aspettavamo di trovare tra gli esiti patologie quali ansia, depressione e tendenze suicide. I nostri risultati hanno dimostrato che, chi ha subito episodi di bullismo, è più esposto al rischio di soffrire di problemi di salute mentale, rispetto ai soggetti che sono stati maltrattati. Sia le vittime di bullismo che quelle di maltrattamenti, tuttavia, sono a rischio di un aumento di problemi di salute mentale in generale e dei livelli di ansia e depressione.

Dallo studio, il primo al mondo a confrontare gli effetti del bullismo con quelli del maltrattamento, è emerso tra le vittime di atti prevaricatori raddoppia anche il rischio di sviluppare sintomi della bulimia (27,9% vs 17,6%), o della anoressia anoressia (11,2% vs 5,6%). Ma un dato particolarmente importante evidenziato da questa analisi riguarda quello riferito ai bulli. Sarebbero loro, infatti, a soffrire maggiormente di disturbi del comportamento alimentare. Tra i bambini vittime di bullismo e i bulli la prevalenza dell’anoressia era particolarmente elevata (22,8% vs 5,6%) e comportamenti di binge eating circa cinque volte più diffusi (4,8% vs <1%). Tra gli autori di atti prevaricatori, invece, la prevalenza di bulimia arrivava fino al 30,8%, contro il 17,6% dei bambini che non erano né vittime né bulli.

Il dott. Wolke conclude:

Essere vittime di bullismo non è un rito di passaggio innocuo o una parte inevitabile della crescita. Esso porta gravi conseguenze a lungo termine. È importante per le scuole, i servizi sanitari e le altre agenzie poter lavorare insieme per ridurre il fenomeno del bullismo e gli effetti avversi correlati ad esso.

I numeri del bullismo in Italia

Il fenomeno del bullismo continua a crescere in Italia: secondo i dati raccolti da Telefono Azzurro nel biennio 2013-2014, a fronte di un totale di 3.333 consulenze su problematiche inerenti la salute e la tutela di bambini e adolescenti, le situazioni di bullismo e cyberbullismo riferite sono state 485, il 14,6% del totale. Analizzando l’andamento annuale degli interventi dell’associazione che riguardano questi episodi, si osserva che si è passati dall’8,4% del 2012, al 13,1% del 2013, per arrivare al 16,5% del 2014. I bambini e gli adolescenti coinvolti sono principalmente di sesso femminile e di età compresa tra gli 11 e i 14 anni, anche se è presente un’alta percentuale di adolescenti. Il 10,2% dei bambini e adolescenti coinvolti è di nazionalità straniera.

Secondo l’indagine “Osservatorio adolescenti” presentata da Telefono Azzurro e DoxaKids nel mese di novembre 2014, condotta su oltre 1500 studenti di scuole italiane di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, il 34,7% dei ragazzi ammette di aver assistito o di essere stato vittima di episodi di bullismo (alle medie ne è vittima il 30,3%, alle superiori la percentuale sale al 38,3%). La scuola risulta essere il luogo prevalente in cui è presente il bullismo (il 34,3% dei ragazzi intervistati, infatti, vorrebbe che la scuola offrisse più protezione da violenza o bullismo), ma non è l’unico: se, infatti, per il 67,9% degli intervistati gli episodi di bullismo si sono verificati nel contesto scolastico, il 10% del campione intervistato ha invece dichiarato di essere stato vittima di bullismo nell’ambiente sportivo (13,3% dei maschi vs 6% delle femmine).

Il 31,3% dei ragazzi vittima di bullismo ha reagito lasciando perdere; il 29,9% cercando di difendersi. Più di 1 su 5 (22,8%) ha avvisato i genitori, con percentuali quasi doppie tra le ragazze (30,4%) rispetto ai ragazzi (16,4%), mentre il 22,7% (21% dei maschi e 24,7% delle femmine) non lo ha detto a nessuno e ha tenuto segreto quanto accaduto. Dalla stessa indagine è comunque emerso che di fronte a una situazione di bullismo o cyber bullismo gli adolescenti, soprattutto le ragazze, ritengono che gli aiuti da parte degli adulti siano i più utili (48,2% sul campione totale, a fronte del 20,9% che ritiene più utile un aiuto da parte degli amici).

Quali sono i campanelli di allarme?

Nel caso del bullismo è importante non sottovalutare il problema ed agire tempestivamente, poiché le conseguenze del fenomeno sul piano psicologico, sia a breve che a lungo termine, come abbiamo visto possono essere gravi sia per le vittime, sia per i bulli (ma anche per chi osserva).

I bambini che vivono episodi di bullismo a scuola manifestano il proprio disagio innanzitutto attraverso sintomi fisici (es. mal di pancia, mal di testa) o psicologici (es. incubi, attacchi d’ansia), associati ad una riluttanza nell’andare a scuola. In caso di prevaricazioni protratte nel tempo, le vittime possono intravedere come unica possibilità per sottrarsi al bullismo quella di cambiare scuola, fino ad arrivare in casi estremi all’abbandono scolastico; alla lunga, le vittime mostrano una svalutazione di sé e delle proprie capacità, insicurezza, problemi sul piano relazionale, fino a manifestare, in alcuni casi, veri e propri disturbi psicologici, tra cui quelli d’ansia o depressivi.

I bulli possono invece presentare: un calo nel rendimento scolastico, difficoltà relazionali, disturbi della condotta per incapacità di rispettare le regole che possono portare, nel lungo periodo, a veri e propri comportamenti antisociali e devianti o ad agire comportamenti aggressivi e violenti in famiglia e sul lavoro.

Arti marziali nella lotta contro il bullismo

Per favorire la gestione dei comportamenti aggressivi dei ragazzi è fondamentale veicolare lo sviluppo di abilità sociali, la capacità di gestire le emozioni, di negoziare soluzioni e risolvere conflitti, che si promuova la costruzione di una sana e robusta fiducia in se stessi. Le ricerche in questo campo dimostrano che l’obiettivo dei programmi di intervento dovrebbe essere quello di insegnare ai più giovani a gestire l’aggressività in maniera positiva, trasformandola dunque in iniziativa, creatività, volontà e non semplicemente ad inibirla. L’educazione fisica in questo senso ha delle potenzialità molto importanti proprio per la riconosciuta efficacia nel migliorare le abilità sociali e nella possibilità di sperimentazione e gestione delle emozioni (Bailey, 2006). Le arti marziali hanno un elevato valore educativo. I giochi di lotta sono giochi semplici, fatti soprattutto di contatto corporeo e movimenti finalizzati a spostare, bloccare o ad atterrare il compagno, per questo vissuti con timore dagli insegnanti, invece si trasformano in vero conflitto in meno dell’1% dei casi (Scott & Panksepp, 2003). Secondo l’Ufficio federale dello sport UFSPO, i giochi di lotta aiutano a ridurre l’aggressività e, addirittura, a prevenire la violenza. Grazie a questi giochi, inoltre, i bambini migliorano le loro abilità motorie e imparano delle strategie che consentono loro di affermarsi e di imporsi nella vita di tutti i giorni. Gli effetti sperati sono molteplici. È incontestabile che lottare e accapigliarsi sono azioni che contribuiscono ad uno sviluppo sano e che la maggior parte dei bambini è alla ricerca di situazioni in cui misurarsi con gli altri.

Ai giochi di lotta vengono riconosciuti importanti funzioni in ambito motorio, socio-affettivo e cognitivo (Olivier, 1998):

  • stimolano la capacità di azione e di adattamento;
  • migliorano la percezione spaziale;
  • stimolano il contatto fisico e la gestione dell’emotività;
  • aumentano il riconoscimento dell’altro come persona da rispettare;
  • sviluppano il rispetto delle regole;
  • stimolano la capacità di elaborazione e riorganizzazione dell’azione;
  • migliorano la valutazione azione-risultato.

Secondo Olivier (1998) “ricollocare il combattere in un contesto istituzionale, in quanto espressione culturale di una società, non può che contribuire ad aiutare gli adolescenti a controllare la propria violenza e a subliminare la propria aggressività”. A partire da questa idea e riconosciuto il loro elevato valore educativo, la finalità della ricerca era di esplorare l’efficacia dei giochi di lotta, inseriti nel curricolo di educazione fisica, come strumento per la gestione e il controllo dell’aggressività in un gruppo di preadolescenti.

Su queste premesse si fonda il programma anti-bullismo A prova di Bullo!, un percorso di crescita personale per bambini dai 7 ai 13 anni che ha l’obiettivo di instillare nei più piccoli, attraverso la pratica delle arti marziali, un senso di fiducia incrollabile nelle proprie capacità rendendoli immuni a qualsiasi tipo di prevaricazione, a scuola come nella vita. Per maggiori informazioni sul programma cliccate qui.