In questo articolo parleremo di accettazione radicale e lo faremo partendo dalla storia dell’uomo che sputò in faccia a Buddha. Cosa impareremo:

1. La parabola buddista dell’uomo che sputò in faccia a Buddha
2. I due insegnamenti di questa storia

3. La teoria della accettazione radicale

4. Come sviluppare un’attitudine mentale di accettazione per vivere sereni

 

La storia dell’uomo che sputò in faccia a Buddha

Il Buddha era seduto sotto un albero a parlare ai suoi discepoli. Arrivò un uomo e gli sputò in faccia. Egli si asciugò, e chiese all’uomo, “E poi? Cosa vuoi dire dopo?” L’uomo era un po’ perplesso perché non si aspettava che, dopo aver sputato sul volto di qualcuno, gli si chiedesse: “E poi?”

 

Non era mai successo in suo passato. Aveva insultato persone e loro si erano arrabbiati, avevano reagito. Ma Buddha non è come gli altri, non si è arrabbiato, né in alcun modo offeso. Ma ha detto semplicemente: “E poi?” Non c’è stata alcuna reazione da parte sua.

 

I discepoli del Buddha si arrabbiarono, reagirono. Il suo discepolo più vicino, Ananda, disse, “Questo è troppo, e non possiamo lo tollerare. Deve essere punito per questo. In caso contrario tutti potranno iniziare a fare cose come questa.”

 

Buddha disse: “Tu taci. Non mi ha offeso, ma sei tu ad offendermi. Lui è nuovo, un estraneo. Deve aver sentito dalla gente qualcosa di me, che questo uomo è un ateo, un uomo pericoloso che sta gettando la gente fuori dal loro sentiero, un rivoluzionario, un corruttore. E in lui potrebbe essersi formata una qualche idea, un concetto di me. Egli non ha sputato su di me, lui ha sputato sulla sua nozione. Ha sputato sulla sua idea di me, perché lui non mi conosce affatto, così come può sputare su di me?”

 

“Se ci pensi profondamente” Buddha disse “ha sputato sulla propria mente.

Io non sono che parte di lui, e posso vedere che questo povero uomo deve avere qualcos’altro da dire perché questo è un modo di dire qualcosa.

 

Sputare è un modo di dire qualcosa. Ci sono momenti in cui senti che il linguaggio è impotente: nell’amore profondo, nella rabbia intensa, nell’odio, in preghiera. Ci sono momenti intensi in cui il linguaggio è impotente. Poi si deve fare qualcosa. Quando si è arrabbiati, profondamente arrabbiati, si colpisce la persona, ti sputano addosso, lui sta dicendo qualcosa. Lo posso capire. Deve avere qualcosa di più da dire, è per questo che sto chiedendo, “E poi?”

 

L’uomo era ancora più perplesso! E Buddha disse ai suoi discepoli: “Sono più offeso da voi perché voi mi conoscete, e avete vissuto per anni con me e ancora reagite.”

 

Perplesso, confuso, l’uomo tornò a casa. Non riuscì a dormire per tutta la notte. Quando vedi un Buddha, è difficile, impossibile dormire nello stesso modo in cui dormivi prima. Più e più volte era ossessionato da questa esperienza. Non riusciva a spiegare a se stesso, quello che era successo. Egli era tutto tremante e sudato. Non aveva mai incontrato un uomo così, lui aveva mandato in frantumi la sua mente e il suo intero modello, tutto il suo passato.

 

La mattina dopo era di nuovo lì. Si gettò ai piedi di Buddha. Buddha gli chiese ancora: “E poi?” Anche questo è un modo per dire qualcosa che non si può dire con il linguaggio. Quando arrivi e tocchi i miei piedi, stai dicendo qualcosa che non si può dire, perchè tutte le parole diventano un po’strette. Buddha disse: “Guarda, Ananda, questo uomo è di nuovo qui, sta dicendo qualcosa. Questo uomo è un uomo di profonde emozioni”.

 

L’uomo guardò il Buddha e disse: “Perdonami per quello che ho fatto ieri”.

 

Buddha disse: “Perdonarti? Ma io non sono lo stesso uomo a cui hai fatto qualcosa. Il Gange continua a scorrere, non è mai il Gange di prima. Ogni uomo è un fiume. L’uomo che sputa non è più qui. Non vedo proprio nessuno come lui, ed io non sono la stessa cosa, tanto è successo in queste 24 ore! Il fiume ha scorso così tanto. Quindi non posso perdonarti perché non ho nessun rancore contro di te. ”

 

“E anche tu sei nuovo. Vedo che non sei lo stesso uomo che è venuto ieri, perché quell’uomo era arrabbiato e lui ora, si sta chinando ai miei piedi, tocca i miei piedi. Come può essere lo stesso uomo? Tu non sei lo stesso uomo, quindi cerchiamo di non pensarci più. Queste due persone, l’uomo che ha sputato e l’uomo su cui sputare, entrambi non sono più. Vieni più vicino. Parliamo di qualcos’altro.”

 

Cosa ci insegna questa parabola

La parabola dell’uomo che sputò in faccia a buddha ci insegna principalmente 2 cose:

1) Innanzitutto ci ricorda che la persona “retta” non ha motivo di reagire alle offese, giacché queste vengono indirizzate non all’uomo, ma all’immagine che una mente distorta può avere di lui.

2) Il tempo muta continuamente le cose. Ciò che era prima, adesso non esiste più. Per questo motivo Buddha non aveva più alcun motivo di prendersela a male per qualcosa che, essendo ormai trascorsa, nel presente non esiste.

La teoria dell’accettazione radicale

Il Buddha approccia la vita con un atteggiamento che la psicologia moderna chiama “accettazione radicale”: in pratica  si tratta di accogliere in modo incondizionato quello che la vita ci offre, senza giudicarlo e senza tentare di cambiarlo. Questo vale sia per gli eventi esterni, che per le persone e per le emozioni. Lottare contro quello che non possiamo modificare, infatti, non fa altro che generare dolore e frustrazione.

Accettare non significa sventolare la bandiera bianca o essere deboli. Al contrario, prendendo consapevolezza della realtà fattuale ne assumiamo effettivamente il controllo e possiamo attivarci per la risoluzione dei problemi. Forse qualcuno di voi si starà chiedendo: perché non possiamo migliorare ciò che non ci piace della nostra vita senza prima accettarlo? Beh Perché se sei troppo impegnato a combattere qualcosa che non ti piace non ti resterà abbastanza energia per modificarla. Semplice.

Anche gli psicologi si sono interessati a questo modo di approcciare la vita tanto che la dott.ssa Marsha Linehan ha trasformato l’accettazione radicale in una vera e propria tecnica che ritroviamo tra gli strumenti di lavoro della Terapia Dialettico Comportamentale.

Alcuni ricercatori della Harvard University scoprirono che quando non riusciamo ad accettare quello che è successo nella nostra vita e ad andare avanti le esperienze dolorose restano in memoria nel nostro cervello in modo da generare maggiore sofferenza ogni volta che vengono attivate.

Per questo motivo diventa essenziale far propri gli insegnamenti del buddha ed accogliere con spirito compassionevole tutto ciò che ci accade.

Sviluppare un atteggiamento di accettazione

La vita ci offre tante occasioni per mettere in pratica l’accettazione radicale. La prossima volta che senti di essere assalito da un senso di sopraffazione nei confronti di quello che ti sta accadendo prova a connetterti per un attimo al tuo respiro, fermati ed inizia ad osservare in modo non giudicante i pensieri che attraversano la tua mente in quel momento. Potrebbero arrivare pensieri del tipo “non è giusto”, “non me lo merito” oppure “perché proprio a me”. Guardali passare come se fossero nuvole che attraversano il cielo della tua mente. Dopodiché, sposta la tua attenzione sulle sensazioni corporee e mentre prendi nota dei messaggi che il tuo corpo ti invia inizia a modificare la tua postura. Allinea la tua colonna vertebrale, apri il petto e abbassa le spalle. Volgi il tuo sguardo all’orizzonte. Adesso, ripeti dentro di te, come se fosse un mantra: “è quello che è”. Infine, ricordate di essere sempre gentili con voi stessi. Rivolgetevi parole di incoraggiamento invece che rimproveri. Ditevi “quello che è successo non mi piace ma ho tutte le risorse per poterlo affrontare” piuttosto che “sono il solito imbranato che non ne fa una buona” oppure “sono la solita sfigata”.

Praticate la gentilezza radicale ogni volta che ne avete la possibilità. Vi avviso, non sarà facile e di sicuro non vi verrà spontaneo. Ma provate e riprovate. Vedrete che con l’allenamento imparerete ad affrontare tutto quello che accade nella vostra vita con maggiore serenità.