Ecco a voi la terza, ed ultima, parte dell’articolo dedicato alle ricerche condotte sulla “psicologia del cibo” e sui loro risvolti pratici. Buona lettura…
Grasso…che bontà
La seconda parte di questo articolo dedicato al cibo si è chiuso con una simpatica ricerca sul gelato al salmone affumicato. Lo studio sperimentale ci dice quindi che etichettare un elemento in un determinato modo influisce sulla nostra percezione del suo sapore. Cosa succede quindi se qualcuno ci presenta un cibo come “bello grasso” e succulento ed un altro come magro e genuino?
I partecipanti allo studio di Wardle & Solomons (1994) hanno definito più saporito e gustoso quello etichettato come “grasso” ma, al tempo stesso, ne mangiavano di meno. Questo effetto sembrerebbe essere amplificato quando le persone sono a dieta o, in generale, particolarmente attente a quello che mangiano ed alla loro salute (Westcombe & Wardle, 1997).
Emozioni cattive = cibo cattivo
Le emozioni condizionano quello che mangiamo ed in che modo approcciamo il nostro pasto.
Quando le persone sono di malumore tendono più facilmente a scegliere merende ricche di grassi e non propriamente dietetiche e salutari. Inoltre quando il nostro stato d’animo è negativo siamo più propensi ad optare per mangiare in maniera disordinata ed irregolare, a preferire spuntini al volo invece che sederci a tavola e consumare il nostro pranzo o la nostra cena. Il cattivo umore sembra anche correlare con un minor consumo di verdure.
Cibi sani = emozioni positive
Le ultime ricerche sembrano dimostrare che mangiare frutta e verdura giornalmente aiuti le persone ad essere più felici ed approcciare la vita in modo positivo. Quest’effetto è probabilmente correlato alla presenza in questi alimenti di micronutrienti quali i folati che sembrerebbero aiutare a contrastare la depressione (White et al., 2013).
Grazie ai loro studi, White e colleghi, hanno dimostrato che la quantità di frutta e verdura consumata in una giornata è in grado di predire l’umore del giorno dopo. In particolare sembrerebbe che per migliorare il proprio stato d’animo in maniera significativa bisogna consumare 7/8 porzioni di frutta e verdura.
Verso il successo…un passo alla volta
Se si è deciso di perdere peso bisogna iniziare facendo un piccolo passo alla volta, iniziando a modificare gradualmente le proprie abitudini. La maggior parte delle diete che promettono grandi risultati, solitamente, non seguono questo semplice ma basilare principio e chiedono alla gente enormi cambiamenti nella loro routine alimentare. Si tratta di regimi alimentari che possono essere sostenuti esclusivamente per periodi brevi mentre, quello che alla gente serve, è un percorso di educazione alimentare che insegni loro no solo a perdere peso ma anche, e soprattutto, a mangiare in maniera sana per il resto della loro vita.
Numerosi studi hanno dimostrato che aiutare le persone a fare piccoli e “sostenibili” cambiamenti nelle loro abitudini alimentari in direzione di un’alimentazione sana conduce gli individui a perdere peso senza sottoporsi ad una vera e propria dieta (Kaipainen et al., 2012).
Si tratta di piccoli cambiamenti in grado però di cambiare l’atteggiamento delle persone nei confronti del cibo quali: poggiare le posate sul tavolo ad ogni boccone, non mangiare mai direttamente dal pacco, bere acqua ad ogni pasto.
Per concludere
Oltre gli studi citati esistono numerose ricerche condotte sulla “psicologia del cibo” sottolineano in che misura fattori fisiologici influenzino le nostre scelte alimentari ed i nostri comportamenti. Ci sono cibi, o meglio sapori, ai quali non riusciamo a resistere per un qualche fattore innato, ma la stragrande maggioranza delle nostre scelte culinarie sono legate alle influenze dell’ambiente socio-culturale all’interno del quale siamo cresciuti.
Secondo Rozine e Fallon (1987) esistono tre categorie di motivazioni in grado di veicolare le nostre preferenze nei confronti di determinati cibi e sapori: caratteristiche sensoriali (sapore, odore), possibili conseguenze negative o dannose, idee e valori personali. Esiste inoltre una relazione particolarmente forte fra preferenze alimentari e la frequenza con la quale veniamo a contatto con determinati cibi, tipici ad esempio del nostro contesto socio-culturale. Secondo gli studi di Zajonc (1968) sia portati a preferire quei cibi ai quali siamo più abituati.
Tutte queste ricerche, insieme a centinaia di altri studi presenti in letteratura, sottolineano i nostri comportamenti alimentari siano influenzati da fattori psicologici e psicosociali, non solo fisiologici, in particolare credenze e atteggiamenti.
Per oggi, sul cibo, è tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate di questa trilogia di articoli e, in particolare, se li avete trovati utili. Aspetto i vostri feedback!
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